Il fiume attraversa diversità ambientali a partire dalla sorgente, situata sulla Dorsale Marchigiana a 830 m sul livello del mare, fino all’Adriatico, dopo circa 76 km, alla foce. Il bellissimo paesaggio marchigiano, in cui il fiume inizia il suo corso, è un insieme di fitte boscaglie, di campi coltivati contornati di siepi e di vigneti; poi il territorio montuoso collinare degrada in declivi più dolci, fino alla pianura ed al mare. La presenza dell’uomo, discreta ed integrata negli antichi piccoli agglomerati nella zona a monte, diventa sempre più invasiva lungo il corso del fiume, compromettendo in modo definitivo l’ambiente e di conseguenza la sua fauna, inserita in una intricata rete di relazioni ecologiche. Leggi tutto
Il fiume scorre in prossimità di alcune aree floristiche protette delle provincie di Ancona e Macerata, dove trova rifugio la fauna tipica marchigiana: riccio, talpa europea, volpe, tasso, istrice, donnola, faina, martora; sono presenti inoltre diverse specie di uccelli sia stanziali che migratori: il succiacapre, il calandro, la tottavilla, il picchio rosso maggiore, l’ortolano. La crescente presenza del cinghiale, del capriolo, del daino e della famiglia dei corvidi è diventata un problema per l’agricoltura e per l’ambiente, problema di cui si cerca ancora la soluzione; lo stesso dicasi anche per gli alloctoni scoiattolo nero, nutria e gambero rosso della Louisiana.
Mentre generalmente la foce di un fiume è palese, l’origine del nostro appartiene al sacro, al mistero, fatto dovuto anche all’orografia dei rilievi della Dorsale Marchigiana nei quali si forma, per la precisione dai monti Marzolare e Lavacelli; ma è affascinante scoprire l’acqua che sgorga trasparente e leggera, e constatare dove comincia la vita per la presenza di vari insetti e animali che vi si abbeverano, o solo per le tracce da essi lasciate. C’è ancora chi ricorda la moltitudine di gamberi che caratterizzava questo primo tratto del fiume, dall’aspetto di fosso: per i ragazzini la loro pesca (di notte e con la luna piena) era un’allegra consuetudine.
Negli ambienti che circondano la sorgente (Monte San Vicino, Monte Canfaito) è segnalata anche la presenza del lupo, del gatto selvatico, dello scoiattolo, del moscardino; dell’aquila reale, dell’astore, del falco pellegrino, dello spioncello, del fanello, del pispolone; del saettone comune, del cervone; della salamandra pezzata, della salamandrina dagli occhiali, del tritone crestato, del tritone italico, dell’ululone appenninico, della rana italica. Impossibile descrivere la moltitudine di insetti presenti, ma vanno citati il cerambice delle querce e la falena dell’edera.
Il Musone non è molto diverso degli altri fiumi delle Marche: ha carattere torrentizio, una portata modesta nella stagione estiva o comunque quando le piogge sono scarse, che aumenta dopo i temporali con le conseguenti ondate di piena. La discussa diga, costruita nell’alto bacino del fiume, ne ha interrotto il corso naturale e parzialmente gli improvvisi allagamenti; il lago di Castreccioni, che si è formato anche con le acque dei fossi Frontale e Argiano, ha una superficie di 2 km quadrati, è profondo sino a 55 m., ed è il più grande invaso artificiale delle Marche. Oasi Faunistica Provinciale, prevede una serie di divieti e norme di comportamento; le acque di categoria B, acque intermedie a popolazione mista, come risulta dalle apposite tabelle poste sulle rive, sono usate a scopo potabile, irriguo, idroelettrico, e offrono un habitat privilegiato per la fauna che ospitano: trota, trota fario, luccio, lucioperca, persico, persico reale, cavedano, pesce gatto, carassio, scardola; oltre a un discreto numero di uccelli migratori che, in parte, si ritrovano anche alla foce.
Alcuni chilometri più in basso, verso Cingoli, il fiume scorre fra pareti rocciose dove una rigogliosa vegetazione ripariale circonda le “cascatelle”, che attribuiscono il nome alla zona; nel suggestivo ambiente bucolico che si è formato, le acque di categoria A, come risulta dalle tabelle della Regione Marche-Provincia di Macerata apposte lungo il suo letto, risultano essere di notevole pregio ittio-faunistico e sono popolate prevalentemente da vari tipi di trota della famiglia dei salmonidi. Camminando sulla riva in una giornata di primavera si è immersi nel verde, nei profumi dei fiori, nel canto degli uccelli ed è possibile anche imbattersi in splendide libellule e in variopinte farfalle.
Questo habitat, come ogni vera aristocrazia, possiede una nobiltà non esibita che lo salva dai danni di un turismo eccessivo e l’affida alla sensibilità di quell’escursionista che sappia integrarsi con la natura. Nella Provincia di Ancona il suo corso passa accanto a boschetti collinari, preziose aree di sosta per l’avifauna migratoria; nei comuni di Filottrano ed Osimo – i più famosi sono quello del Conte Spada e quello Alessandrini – nei quali, oltre alle specie animali già citate, se ne trovano alcune tipicamente forestali come lo scricciolo e il torcicollo; inoltre sono presenti il fagiano comune, la tortora e la tortora dal collare orientale, la gazza, il fringuello, l’upupa, la capinera, il rigogolo e rapaci diurni e notturni. Fra campi e boschetti ci si può imbattere in lucertole campestri, in orbettini, in biacchi, in bisce dal collare, nei rospi comuni e, in acqua, in rane verdi. Oltre gli innumerevoli insetti sono segnalati anche i loro predatori, gli insettivori, fra i quali il mustiolo ed il topo selvatico.
Qualche chilometro più avanti, sempre lungo la media-bassa pianura che il fiume attraversa, si arriva alla “Confluenza”, zona nella quale si uniscono le acque del torrente Fiumicello prima, e del fosso Quattrobotti poi. La superficie di circa 6 km sulla sponda destra è stata individuata come Aula verde; “LA CONFLUENZA” offre rifugio e nutrimento a numerosi animali: guardando dal ponte vicino all’immissione del Fiumicello si nota subito un discreto numero di nutrie, la cui crescente presenza si è rivelata deleteria per la stabilità degli argini e per l’equilibrio biologico. Le acque, qui classificate di categoria C, sono popolate da ciprinidi come il barbo, la carpa ed il cavedano; fino ad una decina di anni fa c’era anche l’anguilla; lungo le rive si trova il nido della gallinella d’acqua, la tana del martin pescatore e quella del gruccione. Le specie presenti sono più o meno le stesse già indicate precedentemente: oltre alla lucertola e al ramarro occidentale, si trovano ancora la natrice dal collare e il saettone comune; quest’ultimo, impressionante per la lunghezza che a volte raggiunge, scappa però via appena si accorge di essere scoperto.
Percorrendo il lungofiume, specialmente al tramonto, ogni fermata richiede la serenità dello sguardo, la voglia di scordarsi di sé per appartenere a quella parte del mondo, a quell’aria che nell’umido della sera esalta i profumi, l’odore di terra e di corteccia, i fruscii: emozioni precluse a chi correndo a piedi o in bicicletta, con le cuffiette nelle orecchie, è concentrato solo su se stesso e sulle sue finalità “salutistiche”.
Osservando i cespugli di rovi e di more, la distesa dei campi, le nuvole, gli alberi e il fiume che di quando in quando si scopre, ci si imbatte nel fagiano, nel ciarliero merlo, nel colombaccio, nella tortora dal malinconico verso, nel volo della gazza che attraversa la strada; in questo cammino non si è mai soli ma si è accompagnati, a volte solo percependoli, dallo scricciolo, dalla ballerina bianca, dalla cinciallegra, dall’upupa, dalla cornacchia, dalla taccola; sono presenti anche la garzetta, l’airone cenerino, la poiana e, di notte, le voci sono quelle del cuculo, della civetta, del barbagianni, dell’usignolo di fiume.
La zona alluvionale, nei pressi della foce, da sempre soggetta ad impaludamenti con la formazione di piccole zone umide, i “guazzi”, costituisce l’habitat ideale per anfibi e farfalle e risulta un ulteriore motivo di interesse naturalistico. L’erpetofauna censita nel Parco del Conero, di cui il Musone segna il confine meridionale, è rappresentata da trentadue specie, 26 di rettili e 6 di anfibi; di quest’ultimi il tritone crestato, la raganella italiana e il rospo smeraldino sono soggetti a particolare attenzione per il rischio di estinzione; non va, infatti, trascurato l’utilizzo del territorio circostante modificato nel tempo da vari insediamenti turistico-residenziali.
Il Parco a 30 anni dalla sua istituzione è ricco di ricerche e pubblicazioni che evidenziano il valore e la bellezza del Conero, ma anche l’importanza della tutela della biodiversità non disgiunta dall’occasione di rilanciare l’economia della zona. L’ampio volo del gabbiano ci indica il confine tra terra e mare; siamo alla foce, in località Scossicci, dove le acque dolci e salate s’incontrano in un mutevole gioco di colori. Il fiume, giunto alla fine, ci racconta ciò che l’uomo e le sue attività hanno prodotto lungo il suo scorrere; le acque trasparenti che zampillano vivaci alle sorgenti, sono diventate opache, lente, cariche di ciò che vi abbiamo riversato: ma la vita è anche qui fra canneti e tamerici, con l’avifauna migratoria e stanziale.
All’alba e al tramonto e specialmente durante il periodo “del passo” l’aria si riempie di canti e di voli; le eleganti livree dell’airone, della avocetta, della garzetta, del cavaliere d’Italia, del chiurlo, della folaga, della gru, della nitticora, del porciglione, della spatola, del germano reale e di varie specie di anatre rendono ancora l’ambiente unico: è il regno del birdwatching. Gli uccelli sono forse gli animali più selvatici e più autenticamente liberi che ci rimangono, ma nemmeno loro possono sfuggire alla trasformazione del paesaggio, all’uso dei pesticidi, all’inquinamento, alle variazioni climatiche, alla progressiva diminuzione dell’alternanza di aree boschive e zone aperte e anche alla caccia; guardandoci attorno dobbiamo riflettere per il futuro: il popolo dei migratori non può attendere oltre.