La valle presenta diversi punti di interesse dal punto di vista storico, artistico e paesaggistico.
La ripercorriamo, seguendo il corso del fiume Musone.
La valle presenta diversi punti di interesse dal punto di vista storico, artistico e paesaggistico.
La ripercorriamo, seguendo il corso del fiume Musone.
Dopo l’amena valletta del fosso di Valdiola, incontriamo i primi ruderi dei vecchi mulini e arriviamo presto al Lago di Cingoli. Il corpo principale del Lago si sviluppa in direzione nord per km 4,400. Vi entrano da destra il Fosso delle Serre, e da sinistra, il Fosso di Frontale, il Fosso d’Argiano, e altri minori. Anche se artificiale, l’ambiente è abbastanza attraente.
Seguendo il Musone, si entra nella piccola gola dell’Intagliata, dove si può ammirare l’imponente ponte, detto romano, ma costruito in epoca medievale. Faceva presumibilmente parte di un sistema fortificato che si trovava in questo tratto del fiume. Sono superstiti due ampie arcate, al di sotto delle quali si formano due piccole cascate. Nei pressi ci sono i resti del mulino Intagliata, all’interno di una vasta vegetazione (bocche di entrata ed uscita dell’acqua, parata di contenimento).
All’interno della stessa gola si trova quello che era il mulino delle Cascatelle, ma l’attenzione è catturata soprattutto da queste, molto frequentate d’estate per la frescura del luogo.
Tuttora funzionante ad acqua, si trova sulla sponda sinistra del Musone, 50 metri dal fiume, 1,5 chilometri ad est di Valcarecce. Si tratta di un bene culturale di notevole interesse. Il mulino ha una struttura plurisecolare, attestata fin dal XVI secolo. Il fabbricato è a pianta rettangolare, su due piani, dei quali il piano terra è adibito a mulino, il piano superiore ad abitazione. Inoltre c’è un deposito laterale con una macchina per pulire il grano. Le strutture murarie sono fabbricate con conci di pietra lasciati con faccia a vista. È abbastanza ben conservato. La sala dei palmenti ospita tre macine a pietra, ognuna delle quali necessarie per la produzione di farine. Oltre al bacino di raccolta dell’acqua, il mulino possiede anche un canale, della lunghezza di circa un chilometro, fino ad arrivare alla derivazione principale del fiume Musone, presso le Cascatelle.
Nelle vicinanze l’edificio del Mulino San Biagio è stato perfettamente restaurato e merita una visita. Quindi, a metà strada tra Staffolo e Cingoli, al Bachero, presso il fiume, si ha la chiesa di San Francesco al Musone. Secondo la tradizione fu edificata sul luogo in cui San Francesco, transitando diretto ad Ancona nel 1210, si ritirò in preghiera, facendo scaturire una sorgente d’acqua, che tuttora è attiva. L’edificio attuale risale al 1796. Contiene molti ex voto. L’interno è ad una navata con tre altari. Dopo i recenti sismi è chiusa, in attesa di restauri.
Entrando nel territorio osimano, sulla sinistra si scorge la chiesa di San Filippo del Piano. Sorse nella commenda che i Templari ebbero nella località omonima dalla Mensa vescovile di Osimo. Nel 1311 ai Templari subentrarono i Cavalieri di Malta. L’attuale chiesa fu costruita nel 1712. Recentemente è stata restaurata.
Più avanti, lungo la strada che da Filottrano conduce alla frazione Casenove, si trova Villa Spada. L’edificio, sicuramente uno dei più belli dell’Italia Centrale, venne più volte rimaneggiato nel corso degli anni. Dopo esser stata per due secoli proprietà della famiglia Gentiloni, la tenuta di Montepolesco fu acquistata nel 1644 da Giuseppe Lavini, a cui si devono i primi lavori di ampliamento e la cappella. Con Filippo Lavini la villa acquista l’attuale fisionomia, con la creazione di due ali parallele che delimitano la corte d’onore. Del XX secolo è invece la scalinata sul giardino, progettata dall’architetto osimano Costantino Costantini (1854-1937).
Il caratteristico Mulino San Polo si trova sul vallato che dai pressi del mulino San Filippo raggiungeva la Chiusa delle Casenove, nel Comune di Filottrano, meno di 1,5 chilometri a sud della frazione. Il corpo di fabbrica, che si dice risalente al secolo XV, è affiancato, a destra e a sinistra, da due costruzioni laterali più recenti, il tutto a due piani. Anche al di sopra della parte centrale è sovrapposta una costruzione meno datata. La struttura muraria, caratteristica fortificata con merlature, è in mattoni. Annessi al mulino vi sono il magazzino e l’abitazione. Il vallato, sul quale sorgeva, è sparito. Fu tenuto dai Polverini almeno fin dagli inizi del secolo XIX. Negli anni Sessanta del secolo scorso cessò il mulino ad acqua, quindi si ebbe quello elettrico a cilindri per una ventina di anni. Fu dismesso negli anni Ottanta.
Mentre i migliori reperti preistorici, piceni e romani sono conservati nel Museo Archeologico delle Marche ad Ancona e in quello di Cingoli, sul territorio troviamo anzitutto l’importante impianto produttivo, forse una fattoria, di Monte Torto, presso le Casenove. Fu costruito in un’area particolarmente adatta, a mezza costa del colle, alto 239 m, tra fertili terreni, acque di sorgente, collegato all’importante arteria di fondovalle. Gli scavi, effettuati fra il 1982 ed il 1995, hanno portato alla luce la pars fructuaria di una villa rustica romana, il cui nucleo più antico, di prima età imperiale, si articolava in una serie di ambienti adibiti alla lavorazione del vino e dell’olio. Poco distante troviamo la tomba a camera, forse dipendente dall’impianto produttivo di cui sopra. L’ornamentazione interna fa collocare il monumento alla fine della Repubblica o ai primi anni dell’Impero.
Oltre il Monte Torto, a dominare la valle troviamo il Monte Santo Pietro, alla cui sommità sorge la villa Leopardi Dittaiuti al centro di un vasto parco, dove nel medioevo esisteva il monastero silvestrino di San Pietro del Monte. In seguito la villa divenne di proprietà della famiglia Sinibaldi, che nel 1842 la cedette ai Dittaiuti e nel 1866 fu ereditata da Giulio Leopardi. Nel 1947, dopo i danneggiamenti bellici, fu ristrutturata con gusto neorinascimentale. L’edificio, a due piani, con portico a tre arcate, è sormontato da una torretta quadrata; due corpi di fabbrica laterali, protesi in avanti, formano la corte di ingresso. Il torrione medioevale è presente sul retro. Un oratorio ed una torre merlata, sul davanti, danno l’impronta di villa-castello. All’interno conserva alcune armi della battaglia di Castelfidardo. Nel 1975 vi venne stipulato il trattato di Osimo.
La chiesa di San Domenico si trova al Padiglione, presso il fiume Musone, ed era detta per questo “chiesa del ponte”. Si tratta forse dell’edificio religioso rurale più antico del territorio di Osimo, citato nel 1272 (Protocollo di S. Benvenuto). Più volte ricorre anche negli Statuti trecenteschi.
In Via Cola, a Passatempo, troviamo la già accennata Palombaia, un interessante edificio rustico. Il piano terreno era adibito a stalla e magazzino, mentre il piano superiore ad abitazione. Le due torrette laterali servivano, in epoche successive, per l’allevamento dei colombi e dei bachi da seta, una delle principali risorse economiche della valle nella prima metà del Novecento.
A Campocavallo, il Santuario della Beata Vergine Addolorata fu costruito tra il 1892 ed il 1913, su progetto dell’architetto Costantini. La chiesa è a tre navate, con cupola alta 47 metri e un ampio portico sulla facciata. Lo stile, basato sull’arco a sesto rialzato, fu denominato «neolombardo» dal Costantini. La pianta è a croce latina con cinque absidi.
A sud di Castelfidardo, ai Laghi, nei pressi della strada di Jesi, si erge il già citato Palombarone. Si tratta di una notevole costruzione, sopra una piccola altura. Il disegno dell’edificio, di carattere signorile, è attribuito a Giovanni Boccalini, allora architetto della Santa Casa (fine secolo XVI). L’immobile fu venduto dalla Santa Casa a privati nell’aprile 2001. Tra il secolo XVI ed il XVIII si costruirono molte colombaie accanto alle case coloniche “ad uso di piccionaia”. I colombi erano utili per diversi motivi: perché favorivano la crescita del grano, nutrendosi di semi ad esso nocivi, perché il loro sterco era molto utile ai campi e, infine, perché rappresentavano una modesta fonte di cibo.
Il Sacrario-Ossario dei caduti nella battaglia di Castelfidardo del 18 settembre 1860 è stato eretto ai margini meridionali della Selva di Castelfidardo, dove si svolse la fase più cruenta dello scontro. Fino al 1912 era il luogo della commemorazione, ma con l’inaugurazione del monumento ai Vittoriosi di Castelfidardo, venne gradualmente abbandonato. Nel 1980 l’Associazione Italia Nostra e il Comune di Castelfidardo ripresero le celebrazioni a ricordo della battaglia e dei caduti, e nel 2010, in occasione del 150° anniversario, il Comune ha provveduto al suo restauro in collaborazione con la Fondazione Ferretti.
Infine la Selva di Castelfidardo, presso le Crocette, un bosco di caducifoglie sub-mediterranee con alcune impronte di mesofilia, nel quale si delineano cinque strati: arboreo, arbustivo, erbaceo muscinale e lianoso. Si tratta di un bosco ‘relitto’ del tardo Olocene, con un alto grado di evoluzione e complessità.
Dopo l’amena valletta del fosso di Valdiola, incontriamo i primi ruderi dei vecchi mulini e arriviamo presto al Lago di Cingoli. Il corpo principale del Lago si sviluppa in direzione nord per km 4,400. Vi entrano da destra il Fosso delle Serre, e da sinistra, il Fosso di Frontale, il Fosso d’Argiano, e altri minori. Anche se artificiale, l’ambiente è abbastanza attraente.
Seguendo il Musone, si entra nella piccola gola dell’Intagliata, dove si può ammirare l’imponente ponte, detto romano, ma costruito in epoca medievale. Faceva presumibilmente parte di un sistema fortificato che si trovava in questo tratto del fiume. Sono superstiti due ampie arcate, al di sotto delle quali si formano due piccole cascate. Nei pressi ci sono i resti del mulino Intagliata, all’interno di una vasta vegetazione (bocche di entrata ed uscita dell’acqua, parata di contenimento).
All’interno della stessa gola si trova quello che era il mulino delle Cascatelle, ma l’attenzione è catturata soprattutto da queste, molto frequentate d’estate per la frescura del luogo.
Tuttora funzionante ad acqua, si trova sulla sponda sinistra del Musone, 50 metri dal fiume, 1,5 chilometri ad est di Valcarecce. Si tratta di un bene culturale di notevole interesse. Il mulino ha una struttura plurisecolare, attestata fin dal XVI secolo. Il fabbricato è a pianta rettangolare, su due piani, dei quali il piano terra è adibito a mulino, il piano superiore ad abitazione. Inoltre c’è un deposito laterale con una macchina per pulire il grano. Le strutture murarie sono fabbricate con conci di pietra lasciati con faccia a vista. È abbastanza ben conservato. La sala dei palmenti ospita tre macine a pietra, ognuna delle quali necessarie per la produzione di farine. Oltre al bacino di raccolta dell’acqua, il mulino possiede anche un canale, della lunghezza di circa un chilometro, fino ad arrivare alla derivazione principale del fiume Musone, presso le Cascatelle.
Nelle vicinanze l’edificio del Mulino San Biagio è stato perfettamente restaurato e merita una visita. Quindi, a metà strada tra Staffolo e Cingoli, al Bachero, presso il fiume, si ha la chiesa di San Francesco al Musone. Secondo la tradizione fu edificata sul luogo in cui San Francesco, transitando diretto ad Ancona nel 1210, si ritirò in preghiera, facendo scaturire una sorgente d’acqua, che tuttora è attiva. L’edificio attuale risale al 1796. Contiene molti ex voto. L’interno è ad una navata con tre altari. Dopo i recenti sismi è chiusa, in attesa di restauri.
Entrando nel territorio osimano, sulla sinistra si scorge la chiesa di San Filippo del Piano. Sorse nella commenda che i Templari ebbero nella località omonima dalla Mensa vescovile di Osimo. Nel 1311 ai Templari subentrarono i Cavalieri di Malta. L’attuale chiesa fu costruita nel 1712. Recentemente è stata restaurata.
Più avanti, lungo la strada che da Filottrano conduce alla frazione Casenove, si trova Villa Spada. L’edificio, sicuramente uno dei più belli dell’Italia Centrale, venne più volte rimaneggiato nel corso degli anni. Dopo esser stata per due secoli proprietà della famiglia Gentiloni, la tenuta di Montepolesco fu acquistata nel 1644 da Giuseppe Lavini, a cui si devono i primi lavori di ampliamento e la cappella. Con Filippo Lavini la villa acquista l’attuale fisionomia, con la creazione di due ali parallele che delimitano la corte d’onore. Del XX secolo è invece la scalinata sul giardino, progettata dall’architetto osimano Costantino Costantini (1854-1937).
Il caratteristico Mulino San Polo si trova sul vallato che dai pressi del mulino San Filippo raggiungeva la Chiusa delle Casenove, nel Comune di Filottrano, meno di 1,5 chilometri a sud della frazione. Il corpo di fabbrica, che si dice risalente al secolo XV, è affiancato, a destra e a sinistra, da due costruzioni laterali più recenti, il tutto a due piani. Anche al di sopra della parte centrale è sovrapposta una costruzione meno datata. La struttura muraria, caratteristica fortificata con merlature, è in mattoni. Annessi al mulino vi sono il magazzino e l’abitazione. Il vallato, sul quale sorgeva, è sparito. Fu tenuto dai Polverini almeno fin dagli inizi del secolo XIX. Negli anni Sessanta del secolo scorso cessò il mulino ad acqua, quindi si ebbe quello elettrico a cilindri per una ventina di anni. Fu dismesso negli anni Ottanta.
Mentre i migliori reperti preistorici, piceni e romani sono conservati nel Museo Archeologico delle Marche ad Ancona e in quello di Cingoli, sul territorio troviamo anzitutto l’importante impianto produttivo, forse una fattoria, di Monte Torto, presso le Casenove. Fu costruito in un’area particolarmente adatta, a mezza costa del colle, alto 239 m, tra fertili terreni, acque di sorgente, collegato all’importante arteria di fondovalle. Gli scavi, effettuati fra il 1982 ed il 1995, hanno portato alla luce la pars fructuaria di una villa rustica romana, il cui nucleo più antico, di prima età imperiale, si articolava in una serie di ambienti adibiti alla lavorazione del vino e dell’olio. Poco distante, sempre attorno alle Casenove, troviamo la tomba a camera, forse dipendente dall’impianto produttivo di cui sopra. L’ornamentazione interna fa collocare il monumento alla fine della Repubblica o ai primi anni dell’Impero.
Oltre il Monte Torto, a dominare la valle troviamo il Monte Santo Pietro, alla cui sommità sorge la villa Leopardi Dittaiuti al centro di un vasto parco, dove nel medioevo esisteva il monastero silvestrino di San Pietro del Monte. In seguito la villa divenne di proprietà della famiglia Sinibaldi, che nel 1842 la cedette ai Dittaiuti e nel 1866 fu ereditata da Giulio Leopardi. Nel 1947, dopo i danneggiamenti bellici, fu ristrutturata con gusto neorinascimentale. L’edificio, a due piani, con portico a tre arcate, è sormontato da una torretta quadrata; due corpi di fabbrica laterali, protesi in avanti, formano la corte di ingresso. Il torrione medioevale è presente sul retro. Un oratorio ed una torre merlata, sul davanti, danno l’impronta di villa-castello. All’interno conserva alcune armi della battaglia di Castelfidardo. Nel 1975 vi venne stipulato il trattato di Osimo.
La chiesa di San Domenico si trova al Padiglione, presso il fiume Musone, ed era detta per questo “chiesa del ponte”. Si tratta forse dell’edificio religioso rurale più antico del territorio di Osimo, citato nel 1272 (Protocollo di S. Benvenuto). Più volte ricorre anche negli Statuti trecenteschi.
In Via Cola, a Passatempo, troviamo la già accennata Palombaia, un interessante edificio rustico. Il piano terreno era adibito a stalla e magazzino, mentre il piano superiore ad abitazione. Le due torrette laterali servivano, in epoche successive, per l’allevamento dei colombi e dei bachi da seta, una delle principali risorse economiche della valle nella prima metà del Novecento.
A Campocavallo, il Santuario della Beata Vergine Addolorata fu costruito tra il 1892 ed il 1913, su progetto dell’architetto Costantini. La chiesa è a tre navate, con cupola alta 47 metri e un ampio portico sulla facciata. Lo stile, basato sull’arco a sesto rialzato, fu denominato «neolombardo» dal Costantini. La pianta è a croce latina con cinque absidi.
A sud di Castelfidardo, ai Laghi, nei pressi della strada di Jesi, si erge il già citato Palombarone. Si tratta di una notevole costruzione, sopra una piccola altura. Il disegno dell’edificio, di carattere signorile, è attribuito a Giovanni Boccalini, allora architetto della Santa Casa (fine secolo XVI). L’immobile fu venduto dalla Santa Casa a privati nell’aprile 2001. Tra il secolo XVI ed il XVIII si costruirono molte colombaie accanto alle case coloniche “ad uso di piccionaia”. I colombi erano utili per diversi motivi: perché favorivano la crescita del grano, nutrendosi di semi ad esso nocivi, perché il loro sterco era molto utile ai campi e, infine, perché rappresentavano una modesta fonte di cibo.
Il Sacrario-Ossario dei caduti nella battaglia di Castelfidardo del 18 settembre 1860 è stato eretto ai margini meridionali della Selva di Castelfidardo, dove si svolse la fase più cruenta dello scontro. Fino al 1912 era il luogo della commemorazione, ma con l’inaugurazione del monumento ai Vittoriosi di Castelfidardo, venne gradualmente abbandonato. Nel 1980 l’Associazione Italia Nostra e il Comune di Castelfidardo ripresero le celebrazioni a ricordo della battaglia e dei caduti, e nel 2010, in occasione del 150° anniversario, il Comune ha provveduto al suo restauro in collaborazione con la Fondazione Ferretti.
Infine la Selva di Castelfidardo, presso le Crocette, un bosco di caducifoglie sub-mediterranee con alcune impronte di mesofilia, nel quale si delineano cinque strati: arboreo, arbustivo, erbaceo muscinale e lianoso. Si tratta di un bosco ‘relitto’ del tardo Olocene, con un alto grado di evoluzione e complessità.